La tipografia popolare bolognese
di
Alberto Natale
Negli stati europei, tra medioevo ed età moderna, si afferma
una produzione letteraria destinata a comunicare l'attualità, a
porre le basi di un giornalismo di cronaca intento a turbare la
quotidianità, a produrre scandalo e timore, sensazioni vive e
dolorose che si riversano su un pubblico urbano di massa ormai pronto
ad entrare nel circuito dell'informazione diffusa dalla stampa.
Un'opinione pubblica comincia pertanto a formarsi, accedendo
all'attualità dalla porta di servizio, congetturando un mondo
più vasto attraverso il cascame dei resoconti pubblici e privati
dei fatti più diversi, spesso concertati ad arte per lettori e
fruitori non certo in grado di verificare l'attendibilità delle
notizie e propensi, del resto, a figurare la realtà in modo
immaginoso e settario.
La tipografia popolare bolognese assume, in Italia, un ruolo di
primissimo piano: la città mostra una propria naturale vocazione
ad occupare uno spazio centrale nella raccolta e nello smistamento di
notizie che rimbalzavano dai luoghi più lontani della penisola e
dalle regioni più remote del mondo intero, dopo aver
subìto ogni sorta di manipolazione. |
Tra Cinquecento e Settecento |
A Bologna si pubblicano "relazioni",
"ragguagli", "avvisi" provenienti dalla Germania, dalla Francia,
dall'Ungheria, dalla Turchia, dal Giappone. Si traducono fogli volanti
di ogni nazionalità, si ristampano i resoconti dei fatti
più strabilianti e scandalosi che più avevano stupito
l'Italia.
Non è infrequente trovare indicate, tra i precedenti luoghi di stampa, quattro o cinque città diverse.
La vicenda che ebbe come protagonista l'infelice fanciulla Isabella, che aveva ucciso il padre, la madre e due neonati1
venne ristampata dagli eredi Pisarri nel 1680 giungendo ad indicare
nelle note tipografiche persino otto precedenti edizioni in differenti
città.2
Bologna, seconda città del stato pontificio, con insediamenti
conventuali di vari ordini, è al centro di fitti scambi
epistolari, soprattutto con l'estero, un crocevia di voci e di notizie
spesso in grado di garantire uno scoop a qualsivoglia editore o dispensatore di novità.
Non c'è praticamente stampatore bolognese che non pubblichi o
diffonda "relazioni" di stupefacenti e insoliti avvenimenti,
trasmettendo a continuatori, figli ed eredi l'esperienza di una linea
editoriale sicura e collaudata.
Nell'arco di tempo che va dal 1576 al 1742 si succedono in questo
genere di pubblicazioni almeno diciassette stampatori o famiglie di
tipografi senza contare le ragioni sociali degli eredi: l'intero mondo
della tipografia bolognese sembra attingere a piene mani dal vasto
serbatoio dell'iperbole e dell'eccesso con il risultato di inondare
città di un tenebroso flusso di atrocità e di crimini, in
cui le immagini dell'orrore e del sangue vengono proposte come
strumenti pedagogici nella riflessione sul peccato e sulla colpa.
Ai "giardini d'orazione", ai "precetti", alle "devozioni", alla
letteratura delle pratiche spirituali e celesti si sovrappongono le
immagini notturne, selvatiche e angosciose del male che, come la
gramigna, può essere estirpato soltanto con metodi cruenti.
La pubblicità di questa letteratura 'nera', conformista eppure
rovesciata, ridimensiona il ritratto, dipinto da Sorbelli, di un'Italia
seicentesca e di una Bologna papalina in cui, attraverso la lettura,
tutti "si cibano ogni giorno solo di Dio e di Paternoster".
Per certi stampatori la produzione di un simile materiale di consumo
rappresentò un prezioso complemento di un'attività
tipografica di più ampio respiro, un ripiego magari, che grazie
al facile smercio permetteva di superare, o di sperare di farlo, i
momenti difficili; per altri, invece, la stampa di relazioni
sensazionali fu la principale occupazione e la migliore fonte di
reddito, individuando in un pubblico povero ma meno incline al
capriccio del consumo letterario, la clientela in grado di assicurare
una continuità aziendale indubbiamente modesta e tuttavia
più sicura.
Nella tabella riepilogativa si vedrà la differente propensione
degli stampatori bolognesi ad occuparsi quantitativamente di questa
produzione; ma sono due le imprese che meglio permettono di considerare
lo svolgimento, grazie alla specializzazione che acquisirono nel
settore: i tipografi Monti, che spiccano nel panorama seicentesco, e i
fratelli Sassi i quali, senza rivali diretti stamparono nel Settecento. |
Avvisi a stampa |
La tipografia dei Monti
Le poche notizie relative a questa famiglia tipografica si debbono
ad Albano Sorbelli : del resto la loro attività si trova nel
cono d'ombra dell'editoria seicentesca, poco o nulla studiata.
Fondatore dell'impresa fu Giacomo Monti, attorno al 1625. Stampò
da solo e in società con altri, per sé e per commissione
"opere severe"3 e una notevole quantità di edizioni destinate ad un pubblico popolare.
Per quanto concerne la stampa di notizie relative ad avvenimenti
sensazionali e prodigiosi è stato possibile riscontrare la
pubblicazione di ventinove edizioni, di cui venti indicate come
ristampe di relazioni pubblicate in altre città italiane4
e nove (presunte) prime edizioni. Ben undici racconti sono relativi ad
avvenimenti accaduti fuori d'Italia (Portogallo, Baviera, Francia,
Spagna, Terrasanta, Ungheria, Polonia, Turchia) mentre i rimanenti si
riferiscono a fatti che hanno per scenario l'intero territorio
nazionale. Dieci relazioni trattano di argomenti prodigiosi, dieci
ancora di catastrofi e nove di cronaca nera.
I dati dimostrano una certa imparzialità nei confronti sia dei
temi che dei luoghi di provenienza: Giacomo Monti fu senz'altro attento
ad utilizzare ogni notizia che gli sembrasse sufficientemente insolita
e terribile e per far ciò dovette mantenere stretti rapporti con
molti altri stampatori italiani in modo da cogliere al volo le
'novità' degne di pubblicazione.
Della sua società con Carlo Zenero (dal 1635-36 fino al 1640)
resta la traccia, in questo genere di produzione, di una sola edizione
del 1639.5
Allo scioglimento del sodalizio, dopo aver trasferito l'officina "sotto
le Scuole" (dove aprì forse anche una libreria), si riscontrano
soltanto quattro edizioni di "relazioni": la maggior parte della
produzione si colloca dopo il 1660 con ben ventiquattro pubblicazioni
di fatti "inauditi".
L'accrescersi di una maggiore vocazione nello stampare materiali
indirizzati al popolo non deve essere estraneo al fatto che, da quella
data, il tipografo avesse trasferito la sua officina sotto il "Voltone
de' Pollaroli".
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Giacomo Monti |
Giacomo Monti continuò a stampare fino al 1690, morendo
praticamente sui torchi. Il figlio Pier Maria gli subentrò fin
dallo stesso anno, continuando nella linea editoriale paterna.
Accentuò piuttosto l'attenzione verso gli avvenimenti
catastrofici: le edizioni riscontrate (una decina) hanno un taglio
giornalistico in senso moderno, riferendosi a cronache di vari
terremoti ed eruzioni, con notizie provenienti perlopiù dal sud
dell'Italia, in particolare da Napoli.
La scelta editoriale mostra una maggiore inclinazione alla cronaca di
avvenimenti obiettivamente verificabili, pur non discostandosi di molto
dai criteri abituali della narrazione di genere: cominciano a
delinearsi aspetti giornalistici simili a quelli di oggi, che lasciano
intravedere sullo sfondo figure di corrispondenti, di osservatori
professionisti sui luoghi della catastrofe, della notizia.
Si può presumere un nesso, forse, tra il mutato atteggiamento di
Pier Maria Monti, rispetto al padre (incline ad una cronaca
tradizionalmente sospesa tra la realtà e la leggenda) e il
passaggio, ai Monti, del protogiornale "Bologna", il periodico degli
"avvisi" ufficiali della città, passaggio che avvenne attorno al
1678: da quella data infatti Giacomo Monti accentua anch'egli la
pubblicazione di notizie relative a fatti incontestabili e a catastrofi
naturali; il figlio Pier Maria si limiterà soltanto a questo
tipo di notizie, traendole forse dal periodico ufficiale e componendo
relazioni già annunciate dai dispacci governativi e
perciò più facili da smerciare e da diffondere.
Pier Maria Monti pubblicò sicuramente fino al 1708, morendo
probabilmente l'anno successivo; gli eredi che subentrarono
continuarono nell'impresa tipografica per pochi anni ancora.6
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Pier Maria Monti
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La tipografia dei Sassi
Meglio documentata è l'attività dei Sassi, una
rilevante azienda avviata al principio del Settecento destinata a
sopravvivere fin quasi alla metà del secolo diciannovesimo.
Fondatore fu Giovanni Antonio del quale si riscontra una sola edizione,
forse del 1709, nel settore della notizia sensazionale, e che
stampò, sembra, insieme al fratello Giovanbattista.
Già dal 1715 circolano edizioni con la sottoscrizione "Successori del Benacci":7
si tratta quasi certamente dei figli di Giovanni Antonio, Carlo Alessio
e Clemente Maria che, insieme, stamparono fino alla metà del
secolo; Clemente Maria continuò da solo fin quasi al 1770,
seguito poi dal figlio Giovanbattista.
Le notizie provenienti dal meritorio studio di Albano Sorbelli sono a questo proposito un po' confuse: nella Storia della stampa in Bologna
l'autore non riconosce Carlo Alessio come il fratello di Clemente
Maria, sostenendo che "dal 1740 al 1750 i Sassi furono spesso in
società con Carlo Alessi", dando alle stampe varie opere "per i
tipi delle due case unite".8
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Giovanni Antonio Sassi
|
"Carlo Alessio e Clemente Maria fratelli Sassi", come abitualmente
sottoscrivevano le proprie edizioni, dettero vita ad una solida impresa
familiare che si sforzò di controllare l'intero ciclo della
carta stampata: dalla produzione della carta stessa, alla tipografia e
alla libreria. I Sassi erano coinvolti infatti nella conduzione di due
mulini da carta: il Buca, che apparteneva al senatore Albergati e lo Stradello proprietà del conte Francesco Malvasia. Buca e Stradello
erano mulini pressoché attigui, alla destra del Cavaticcio,
sotto la parrocchia di Santa Maria Maggiore, in corrispondenza della
via di Borgo Polese.9
Dell'impresa cartaria dovette occuparsi prevalentemente Carlo Alessio,
le cui iniziali compaiono nella filigrana della carta prodotta nei
mulini dei Sassi, mentre Clemente Maria seguì più da
vicino l'impresa tipografica acquisita dagli eredi Benacci.
L'atto della transazione è del settembre 1725: in esso si
informa che Clemente Maria acquista da Pietro Paolo Benacci "un negozio
di carteria, stamperia, molino, avvisi et altre adiacenze situato nella
pubblica piazza e conosciuto comunemente con il nome bottega del
Benazzi".10
Tuttavia risulta che già da qualche tempo la conduzione
dell'impresa era passata ai Sassi: infatti, benché non vi sia la
certezza che i "Successori del Benacci", già ricordati come
sottoscrittori di un'edizione del 1715, fossero in realtà i
Sassi, e nemmeno si possa essere sicuri sull'identità degli
stampatori di un "breve racconto" su un fatto miracoloso, pubblicato
nel 1721 "nella stamperia de' Successori del Benacci",11 esiste il riscontro di un'edizione del 172212
stampata da "Clemente Maria Sassi, Successore del Benacci" a
testimoniare che la cessione dell'antica officina tipografica - fondata
nell'ultimo quarto del Cinquecento - era già in qualche modo
avvenuta.
E' significativo il fatto che Pietro Paolo Benacci, dopo aver
formalizzato la cessione della bottega, si ritirasse a Pontecchio a
fare il "cartaro",13 segno che l'attività di stampatore dava meno garanzie rispetto all'industria della carta.
Senza dilungarsi su questo aspetto del rapporto tra aziende cartarie e
produzione a stampa, occorre almeno ricordare che già da tempo
le famiglie patrizie avevano mostrato di preferire la gestione diretta
di cartiere ai rischi delle imprese tipografiche. A Bologna la stessa
famiglia Bentivoglio si interessò al settore di produzione
cartario, possedendo forse uno stabilimento; a Modena il notaio
Cecchino Morano, che gestiva una fiorente cartiera, sostenne la prima
tipografia modenese avviata da Giovanni Vurster, divenendo in breve il
principale creditore dello sfortunato tipografo, al quale si aprirono
le porte del carcere; a Reggio il duca Ercole elargì una serie
di privilegi per decretare il monopolio della produzione e della
vendita di carta a favore del congiunto Sigismondo, ma non volle
assumere l'onere di una stamperia ducale; la famiglia ducale ferrarese,
sempre ai primordi dell'era della stampa, evitò con cura di
farsi coinvolgere direttamente nel finanziamento di una tipografia, ma
non esitò a mettersi in affari nella produzione di carta.14
Questa digressione basti, quantomeno, per sottolineare la lungimiranza
con la quale la famiglia Sassi si muoveva all'interno del rischioso
settore tipografico, producendo in proprio una costosa materia prima,
il cui costo aveva fatto fallire più di uno stampatore,
garantendo inoltre una flessibilità commerciale che permetteva
loro di poter contare su una notevole varietà di prodotti in
vendita, che andava dai libri ad ogni sorta di carta stampata (come i
moduli prestampati dei contratti d'affitto), per finire con la carta
tout court, da rivendere ad altri tipografi, carta da scrivere, da
pacchi, cartone da legatura e imballo.
Commercianti accorti, i Sassi furono anche tipografi avveduti:
poiché il mercato bolognese non offriva particolari prospettive
nella produzione libraria anche a causa delle declinanti sorti dello
Studio bolognese essi si assicurarono la committenza pubblica che era
in grado, tra bandi e avvisi governativi (ma non soltanto, come si
vedrà) di garantire un afflusso stabile, duraturo e soprattutto
preventivabile di pubblicazione il cui smercio complessivo era
certamente più agevole di quello dei libri.
Il privilegio di poter stampare avvisi governativi, "giornali" e
"relazioni" fu ottenuto verso la metà del 1717: lo si ricava
dalla dicitura con la quale i fratelli Sassi, da quella data,
cominciarono a marcare le loro edizioni e cioè "con licenza de'
Superiori, e privilegio"; fino a quel momento infatti il termine
"privilegio" non compare.
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Carlo Alessio e Clemente Maria fratelli Sassi
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La fortuna della tipografia sembrò venir meno quando il
conte Luigi Ferdinando Marsili, che intendeva assicurare alla Stamperia
Bolognese di San Tommaso d'Aquino "un sicuro supporto finanziario",15 ottenne da Clemente XI il privilegio di stampare e distribuire gli " 'avvisi' ufficiali del governo".16
Lo stesso Marsili riteneva che l'introito di una simile concessione si
potesse calcolare in duecento scudi l'anno, ma, apprendendo che tale
"privativa" era già stata accordata ai Sassi, fu assalito da uno
scrupolo di coscienza: quell'amoroso pontefice voleva che di
presente la mia stamperia entrasse in possesso [di tale privilegio] il
che ricusai per non portare la rovina alla famiglia Sassi, e solo volli
contentarmi di un'annua pensione dai medesimi di 46 scudi...17
L'accordo fu ratificato in rogito notarile nel 1719: in esso si
afferma che il conte intende rinunciare alla propria prerogativa "di
poter imprimere ed estradare gli ebdomadali avvisi e relazioni" fino a
quel momento "impressi ed estradati" dai fratelli Sassi "pubblici
impressori in questa città", lasciando a quest'ultimi la
facoltà di continuare ad avvalersi del privilegio di stampare
"detti ebdomadali avvisi, ed ogn'altra relazione". Con la condizione che, viventi li detti ed
infrascritti signori fratelli Sassi, detta privativa debba essere a
loro favore, né possono, se non seguita che sarà la morte
naturale degl'infrascritti... un tale privilegio, o privativa, essere
esercitato in detta nuova stamperia [la Stamperia Bolognese], né
in altro luogo, né da alcuna altra persona, ma che quella solo
abbia il suo effetto, ed esercizio nel caso della mancanza naturale
dell'ultimo dei detti signori fratelli Sassi, e non prima, né
altrimenti.18
In cambio i due fratelli si impegnavano "di dare, pagare, ed
annualmente sborsare alla detta Nuova Stamperia Bolognese, e al
principale ministro ed agente della medesima lire Ducento di quattrini,
moneta di questa città di Bologna, in due rate" e inoltre
consegnare "ogni settimana, e nel giorno istesso che si pubblicano gli
Avvisi in questa città, numero dieci esemplari de' medesimi"
alla Stamperia Bolognese, nonché cinque copie di "relazioni"
"ogni qual volta si pubblicheranno".
La "privativa" restava dunque ai Sassi sotto pena di decadimento
qualora non si fosse ottemperato scrupolosamente al pagamento e agli
altri impegni; al tempo stesso si ricordava che "il Jus d'imprimere",
non appena i fratelli "fossero ambidue naturalmente morti" sarebbe
rimasto "a comodo di detta nuova Stamperia Bolognese", "ed il tutto
senz'altra interpellazione o requisizione".
L'attività dei Sassi risulta insomma salva, anche se
l'intervento del conte Marsili priva la tipografia di quasi un quarto
del giro d'affari presunto.
Qualche anno più tardi, nel rogito di donazione a favore dell'Accademia Clementina,19
si dà notizia di un ulteriore e privato accordo stipulato con i
due tipografi: invece della consegna delle copie pattuite di "avvisi" e
"relazioni" "fu poi convenuta l'annua corrispondenza di lire trenta
quattrini".
Nel 1727, dunque, il conte devolve in favore dell'Accademia la
"pensione" che i fratelli Sassi gli andavano versando - debito, si
assicura nel rogito, che fu sempre onorato - affinché con la
cifra di 230 lire si coniassero "sedici medaglie" con l'effigie del
pontefice e delle quali il conte prescrive ogni singolo dettaglio di
fabbricazione, che dovranno essere "date in premio a' giovani
studiosi".
Prima che il conte attribuisse all'Accademia l'usufrutto, il privilegio
promesso gli aveva fruttato 1840 lire bolognesi in otto anni, senza che
questa cifra venisse impiegata per la Stamperia Bolognese, che soltanto
nel 1727 fu avviata dopo che il generale ne ebbe fatto dono al convento
dei Domenicani.
Non è detto che dopo la morte del conte (avvenuta nel 1730) i
Sassi abbiano continuato a pagare un tributo così vistoso,
devoluto ormai soltanto per coniare costose medaglie; anzi è
certo che fecero molte resistenze già a partire dal 1729 (alle
insistenze dell'Accademia rispondono che non intendono
"assolutamente... di voler pagare negli anni avvenire"20)
certo è che tornarono alla carica per invalidare almeno la parte
del rogito che avrebbe privato i loro eredi del privilegio di stampa:
tra il 1727 e il 1734 (ma presumibilmente dopo il 1730) fu registrata
la "Supplica di Giovan Battista Sassi per ottenere la privativa delle
stampe dei foglietti per sé e per i suoi eredi in perpetuo".21
Respinto anche il tentativo del tipografo Giuseppe Maria Ubaldini, nel
1735, di sottrarre loro l'ambito privilegio, sembra che Giovan
Battista, figlio di Clemente Maria, riuscisse infine a rientrare in
possesso delle facoltà concesse ai suoi progenitori: in una
dichiarazione egli affermava che Si
sono poi in tutto questo [tempo] stampati gli avvisi ebdomadali, tutti
li bandi emanatisi, molti sonetti, polizze, scritti, bollette ed altre
simili stampe per servizio pubblico e privato.22
La ricostruzione dell'episodio del privilegio di stampa sembra
importante perché coinvolge, con tutta probabilità, anche
la produzione delle relazioni degli avvenimenti sensazionali, non
potendosi risolvere soltanto negli "avvisi ufficiali del governo", di
cui parla p. Alce, la natura complessiva del materiale da stampare che
l'esclusiva garantiva. Nei rogiti si insiste nel sottolineare la
differente periodicità di "avvisi" e "relazioni", e ogni
riferimento alla scelta di argomento di quest'ultime appare non a caso
vaga. Del resto basterebbe osservare che, a parte qualche rara
eccezione, non vi sono tipografi bolognesi, almeno fino al 1742, che
contendano ai Sassi le edizioni concernenti le notizie di prodigi,
catastrofi o cronaca nera. Di fatto o di diritto i Sassi poterono
estendere il privilegio anche al materiale informativo che viene
analizzato in questa sede.
Includendo anche le due incerte pubblicazioni sottoscritte dai
"Successori del Benacci" si hanno dal 1715 al 1742 ben quarantatre
"relazioni", di cui quattordici (presunte) prime edizioni e ventinove
ristampe di edizioni pubblicate in altre città italiane.23
Quattordici pubblicazioni si riferiscono ad avvenimenti ambientati in
terre straniere (Tracia, Ungheria, Turchia, Alsazia, Frisia, Austria,
Francia, Spagna, Paesi Bassi, Germania, Algeria), mentre le altre
spaziano come di consueto su tutto il territorio italiano; undici
narrano di eventi prodigiosi, diciassette di catastrofi, terremoti e
inondazioni, le altre quindici si riferiscono a fatti di cronaca nera.
I generi sono tutti ben rappresentati, segno di un mercato stabile che
continua dal Seicento al Settecento, a mostrare interessi poco mutati
del pubblico o quantomeno ad attestare la validità del tipo di
proposta editoriale.
La leggera prevalenza degli avvenimenti catastrofici testimonia - oltre
all'ineluttabile telluricità del suolo italiano - l'attenzione
crescente verso le notizie che illustrano i cataclismi, gli eventi di
vasta portata sociale, oltre che simbolica. Del resto questo genere di
notizie fece sicuramente parte del bagaglio informativo "ufficiale" che
i Sassi ben conoscevano, avendo pubblicato fin dal 1708 (con Giovanni
Antonio) il periodico governativo "Bologna", stampato fino ad allora da
Pier Maria Monti.
Nel complesso si avverte una propensione assai spiccata nei confronti
di un mercato cittadino, sia pubblico che privato: in quest'ultimo
settore va inquadrata la produzione di notiziari sensazionali e
lugubri, una stampa povera e di vasto interesse che va ad affiancarsi
ai "lunari, calendari, burlette, celebrazioni di feste, pletora diversa
per monacazioni, moduli legali, formulari, ecc."24
Unici tipografi (insieme ai Longhi) in grado di dar vita ad un'impresa
capace di oltrepassare il secolo, dando prova "di grandi
capacità imprenditoriali e gestionali",25
i Sassi dimostrano di aver compreso quale fosse la migliore formula
editoriale per una tipografia popolare che si proponeva in un tessuto
sociale e culturale di rilevanza modesta qual era quello bolognese del
Settecento.
|
Il Conte Ferdinando Marsili
|
Dove fallirono le prestigiose imprese editoriali e culturali del
secolo, come la Stamperia Bolognese di San Tommaso d'Aquino e l'impresa
dei Della Volpe, i Sassi riuscirono a rimanere a galla, puntando alla
diffusione di pubblicazioni di largo consumo e di basso costo, e senza
manifestare particolari intenti culturali.
Benché si sia molto lontani dal voler fare l'elogio della
mediocrità editoriale - del resto la più consona al
momento storico bolognese - occorre ricordare che quando il sontuoso
(ma velleitario) edificio tipografico di Petronio Della Volpe
rovinò sotto il peso dei debiti accumulati, soffocato da un
invenduto enorme, dopo qualche anno di decantazione (e di svalutazione
delle giacenze di magazzino e degli altri capitali tipografici), furono
proprio gli eredi di Giovan Battista Sassi, alla fine del Settecento,
ad acquistare il deposito librario e forse una parte delle
apparecchiature di stampa a prezzo di liquidazione.
Soltanto bilanciando accuratamente i settori della propria azienda i
Sassi seppero far fronte alle difficoltà: essi padroneggiarono
tutto il ciclo della produzione libraria, dalla fabbrica della carta
alla getteria dei caratteri, avvalendosi inoltre di un cospicuo apporto
dovuto alla loro attività di librai (e il libraio, in una
città come Bologna, aveva prospettive economiche assai migliori
del tipografo ).26
I Sassi costituiscono indubbiamente l'esempio migliore per un modello
funzionale di tipografia popolare cittadina, per una produzione che
può contare su un mercato povero ma vasto e che necessita di
continua attenzione; una tipografia rozza che non aspira
all'immortalità, ma che costruisce giorno per giorno la propria
difficile strada per la sopravvivenza.
|
Petronio Della Volpe
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RIEPILOGO DELLA PRODUZIONE BOLOGNESE RELATIVA ALLA LETTERATURA DEL SENSAZIONALE E DEL PRODIGIOSO
Decennio |
Stampatori |
n. edizioni |
|
|
|
1570-1579 |
Giovanni Rossi |
1 |
1580-1589 |
Alessandro Benacci senior
Fausto Bonardo |
2
2 |
1590-1599 |
Giovanni Rossi
Vittorio Benacci |
1
1 |
1600-1609 |
Vittorio Benacci
Bartolomeo Cochi |
2
3 |
1610-1619 |
Vittorio Benacci
Bartolomeo Cochi
Sebastiano Bonomi
Eredi G.D. Moscatelli |
1
4
1
3 |
1620-1629 |
Erede del Cochi
Eredi Moscatelli
Eredi del Cochi
Alessandro Benacci junior
Clemente Ferroni
Niccolò Tebaldini |
2
4
3
2
3
6 |
1630-1639 |
Clemente Ferroni
Eredi del Cochi
Erede del Benacci
Domenico Barbieri
Niccolò Tebaldini
Giacomo Monti |
5
1
1
1
1
1 |
1640-1649 |
Domenico Barbieri
Carlo Zenero
Giacomo Monti |
3
2
3 |
1650-1659 |
Giacomo Monti
Domenico Barbieri |
1
1 |
1660-1669 |
Giacomo Monti
Carlantonio Peri
Francesco Maria Sarti |
8
2
1 |
1670-1679 |
Giacomo Monti
Francesco Maria Sarti
Evangelista e Emilio Maria Manolessi |
8
2
1 |
1680-1689 |
Eredi del Peri
Eredi Pisarri
Francesco Maria Sarti
Erede del Sarti
Giacomo Monti
Eredi del Sarti |
4
5
1
1
8
1 |
1690-1699 |
Pier Maria Monti
Eredi del Sarti |
5
2 |
1700-1709 |
Pier Maria Monti
Evangelista Manolessi
Giovanni Antonio Sassi |
5
3
1 |
1710-1719 |
Costantino Pisarri
Stamperia Peri
Giulio Borzaghi
Successori Benacci
Carlo Alessio e Clemente Maria Sassi |
2
1
1
1
8 |
1720-1729 |
Costantino Pisarri
Clemente Maria Sassi
Carlo Alessio e Clemente Maria Sassi |
2
1
14 |
1730-1739 |
Clemente Maria Sassi
Carlo Alessio e Clemente Maria Sassi |
1
13 |
1740-1749 |
Carlo Alessio e Clemente Maria Sassi |
4 |
NOTE
1 - Nuova
e distinta relazione di una diabolica rissoluzione seguita nella
città di Malta di una figliuola di età di diciannove
anni, quale, dominata dal diavolo, ha dato morte al proprio padre e
madre, e due figliuoli, uno di tre mesi e l'altro di quindici. Con il
severo e giusto castigo che ne ha fatto la giustizia, e un avertimento
che fece al popolo avanti la sua morte. Seguito alli 10 agosto del 1672, in Bologna, per Giacomo Monti, 1672.
2 - Roma, Brescia, Verona, Reggio, Milano, Parma, Genova, Ancona.
3 - A. Sorbelli, Storia della stampa in Bologna, Bologna, Zanichelli, 1929, p. 144.
4 -
Limitandosi all'ultima edizione segnalata si riscontrano i seguenti
luoghi: Ferrara, Siena, Vicenza, Roma (tre volte), Modena (due volte),
Milano, Rimini, Pavia, Pistoia, Lucca, Venezia (tre volte), Trento (due
volte), Napoli (due volte). Si tratta di un ventaglio di
località sufficientemente eterogeneo per comprendere come il
tipografo fosse attento a vagliare informazioni e notizie adatte,
pubblicate nei luoghi più diversi.
5 - Verissima relazione venuta da Lisbona dove s'intende la nascita di un putto di bruttissima figura, tutto armato..., in Milano, Ferrara, et di nuovo in Bologna per Giacomo Monti e Carlo Zenero, 1639.
6 - A. Sorbelli, Storia della stampa..., cit., p.146.
7 - Si tratta probabilmente di Carlo Alessio e Clemente Maria Sassi. L'edizione è: Narrazione delli maravigliosi prodigi occorsi già in Tracia nella città di Andrinopoli..., cit.
8 - A. Sorbelli, Storia della stampa..., cit., p.176.
9 - Le notizie sui Sassi conduttori di mulini da carta sono tratte da P. Bellettini, Cartiere e cartari, in Atti del V colloquio; Bologna 22-23 febbraio 1985: Produzione e circolazione libraria a Bologna nel Settecento. Avvio di un'indagine,
Bologna, Istituto per la Storia di Bologna, 1987, pp. 17-89. Lo studio
di Bellettini rileva che la conduzione del Buca è attestata dal
1733 al 1750; quello dello Stradello è probabilmente avviata nel
1739, ma non è escluso che l'esercizio dei due mulini non
avvenisse prima e dopo le date citate.
10 - L'atto è citato da M.G. Tavoni nel saggio Tipografi e produzione libraria, in Atti del V colloquio, Bologna 22-23 febbraio 1985..., cit., p.125.
11 - Breve
racconto del miracolo che fece S.Felice da Cantalice, capuccino, nel
far crescere con buon esito li bigatti da seta, dandogli della foglia
cattiva e bagnata, in Bologna, nella stamperia de' Successori del Benacci, 1721.
12 - Il
grandissimo e meraviglioso miracolo nuovamente apparso nella patria del
Friuli, appresso la Chiusa, sopra un pessimo uomo il quale ha giurato
il falso in giudizio per odio che portava a un suo cugino. Dapoi andato
alla Chiesa si è communicato senza essersi confessato, e per
miracolo di Dio gli è andato un demonio in forma d'un serpente
al collo e lo fece morire. E sono venute pietre dal cielo infuocate,
che lo percotevano, come leggendo intenderete, in Parma, et in
Bologna per Clemente Maria Sassi, Successore del Benacci, 1722. Si
tratta della riedizione di un'opera pubblicata da Giovanni Paolo
Moscatelli nel 1620 (cfr. cap V.4, nota 255) che Clemente Maria
ristampa probabilmente sulla scorta di un'edizione parmense.
13 - M.G. Tavoni, Tipografi e produzione libraria..., cit., p.125.
14 -
Le informazioni relative ai rapporti tra potere pubblico e
attività tipografiche qui citate sono tratte da Luigi Balsamo, Produzione e circolazione libraria in Emilia (XV-XVIII sec.), Parma, Casanova, 1983, e in particolare dal capitolo Imprese tipografiche in Emilia nel '400: aspetti economici.
15 - Vittorino Alce, La stamperia bolognese di San Tommaso d'Aquino, in "Culta Bononia", VI, n. 1-2, Bologna, Patron, 1974, p.31.
16 - Ibidem, p.31.
17 - E. Bortolotti, La fondazione dell'Istituto e la riforma dello "Studio" di Bologna, in Memorie intorno a Luigi Ferdinando Marsili, Bologna, Zanichelli, 1930, pp. 455-56.
18 - Atti legali per la fondazione dell'Istituto delle scienze, ed Arti liberali, Bologna, Stamperia Bolognese di San Tommaso d'Aquino, 1728; il documento è: 1719
Die quinta mensis Maii. Conventiones inter excellentiam D. Comitem
Aloysium Ferdinandum Marsilli et Dominus Carolum Alexium, et Clementem
Mariam fratres de Saxis.
19 - Atti legali..., cit.; il rogito è: 1727.
Die vigesima prima mensis Martii. Cessio, et conventiones inter
excellentiam D. Co. Aloysium Ferdinandum Marsigli, et Academiam
Clementinam.
20 - Archivio di Stato di Bologna, Assunteria di Istituto, Atti. 17 marzo 1729, reg. 3, p.547.
21 - Archivio di Stato di Bologna, Assunteria di Istituto. Atti. 13 marzo 1744, reg. 4, p.1148.
22 - Ibidem, p.103.
23 -
Firenze (quattro volte), Venezia (quattro volte), Parma (quattro
volte), Ferrara (tre volte), Modena (tre volte), Roma (due volte),
Napoli (due volte), Padova (due volte), Verona, Milano, Pavia, Ancona,
Siena.
24 - M.G. Tavoni, Tipografi e produzione libraria, cit., p.101.
25 - Ibidem, pp. 153-54.
26 - E. Fregni, Librai e botteghe di libri, in Atti del V colloquio..., cit., pp.295-310.
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